La Guardia

Friday, January 26, 2007

Giudici e assassini

Qualcuno dice che non mi riconosce in questo blog, che non sono il ragazzo che conosceva, che questa versione di me non piace, non combacia con l'immagine che aveva in testa.
Può essere vero per certi versi.
Per chi ha sempre una risposta per tutto, per chi giustifica le proprie azioni condannando le mie. Per chi vive a proprio agio nella sua sfera di certezze, mentre annaspo nell'indefinito, nello sfumato.
Per chi si ferma alle parole e non legge tra le righe, per chi ha occhi e non li usa per guardare oltre il margine.
Per chi scaglia il sasso e si nasconde nell'anonimato
Questo è un blog che ho fatto per me, per sputare il veleno che avevo dentro, senza ferire nessuno, senza condannare nè assolvere.
Nessuno è costretto a leggere.
Chi lo fa vede la mia parte piagata, quella che non posso mostrare, quella che si tiene nascosta perchè fa ribrezzo. Nessuno la vuole vedere.
Questo è il mio lazzaretto, la peste è al suo interno.
Vuoi entrare? Sai quello che trovi.
Potresti non trovare più l'uscita, rigirati dentro come un pazzo e ritrovarti addosso l'infezione, o magari trovi la cura.
Quello che c'è qui non cambia quello che sono. Non sono assolutamente diverso da quello che sono stato finora. Magari la scorza è più dura, la corazza più spessa.. ho ricevuto bordate che sfiancherebbero chiunque.
Non ho trovato nessuno che mi desse ascolto, non potevo tenermi dentro tutto.
Io non so quello che sono, e di sicuro non sarò quello che tu vuoi che io sia per te.
Ma so quello che non sono.
Se non ti stà bene gira al largo, se vuoi entra, ma non ti aspettare che ti accompagni all'uscita.

Wednesday, October 18, 2006

Per Letizia

Hey bambola, ma dove sei finita?
E un pezzo che non ti fai sentire.. spero che andrai a spulciare il blog così vedi che non ti ho dimenticata.
E neppure voi ho dimanticati, amanti dello squallidume che alberga nella mia anima, presenza costante, accompagnata dalla maschera dell'angoscia, che ghigna e affila le zanne per affondarle in un cuore che ormai si sfalda. Come un vecchio libro che non legge più nessuno, la copertina è tutta sbrecciata, c'era un titolo un tempo, ma non si legge più.
Voi tutti che leggete queste righe intrise di realta, grezza, marcia, schifosa ma realtà.
Perchè l'uomo invisibile esiste, ed è meschino. Si stringe in un cappotto liso, alza il bavero.. là fuori fa sempre troppo freddo.
Voi che credete nel personaggio e lo rendete reale, perchè è nel vostro cervello ma più in profondita dentro il cuore, perchè dopotutto è un perdente, un antieroe che nella sua pochezza è comunque vivo e resta aggappato ad una vita che non cessa di torturarlo con crudeltà, con zelo e ferocia. Quante volte il pensiero di mollare gli è passato in mente tra le fitte di dolore e le lacrime. Lacrime si.. perchè è fatto anche di quelle. Silenziose, amare, diperate.
Gli velano gli occhi, quando cerca di rimettere insieme i pezzi di un cuore che non cessa di battere, ma gli scappano da tutte le parti.
Due mani non bastano.
Ne servono altre due.

Wednesday, August 30, 2006

Quella volta che uccisi Babbo Natale ( terza parte )

Qualcosa attirò la sua attenzione.
Un fruscio, appena percettibile, ma amplificato in quel silenzio irreale. Un movimento percepito solo con l'istinto.
Qualcosa non andava nel quadro generale.
Il respiro gli si mozzò di colpo, bloccandolo nel gesto di portarsi la sigaretta alle labbbra.
Una figura in rosso stava scivolando fuori da una finestra.
La mano scattò automaticamente alla fondina, mentre la brace della cicca disegnava una parabola rossa nel buio e andava a morire nel manto nevoso.
La guardia puntò l'arma.
"Fermo stronzo!"
L'ordine gli uscì con un suono strozzato. La figura in rosso sobbalzò, picchiando la testa sul telaio e rovinado contro una pila di bancali.
Disteso sulla schiena fissò ansimando la guardia, l'espressione era seccata, per nulla intimorita dall'occhio nero che lo fissava all'estremità dal quattro pollici a tamburo.
"Ma sei impazzito?" Una voce bassa che si mescolò in un turbine di neve. "A momenti ci resto secco!"
Per un momento la guardia non seppe che dire. Il tizio indossava un lurido costume da Babbo Natale, strappato in più punti.. si concesse un mezzo sorriso.
"Alzati coglione!".
Con movimenti lenti e goffi la sagoma in rosso conquistò la posizione eretta. Nonostante la caduta stringeva ancora in mano un sacco rosso.
La guardia l'accennò col mento, "Gettalo a terra e alza le braccia".
L'altro lo lasciò cadere. "E adesso che farai? Pianterai una palla in fronte a Babbo Natale?". Un lieve accento che la guardia non seppe riconoscere.
"Zitto luridume! Respira e ti apro un buco del culo supplementare".
Qullo gli rivolse un'occhiata stupita.
La guardia l' ignorò.
Senza staccare gli occhi dalla figura con le braccia alzate, parlò nella radio portatile, "Centrale, qui pattuglia 24".
Nessuna risposta, solo scariche elettrostatiche.
Ruipròvò di nuovo per un paio di volte, la radiò crepitò debolmente e poi ridivenne muta. Niente da fare.
"Merda!". Pensò che tutta quella neve doveva avere danneggiato il ponte radio. Ora avrebbe dovuto andare fino alll'auto e provare dal veicolare, lì il segnale era più potente, forse sarebbe riuscito a comunicare con la centrale. Ma questo significava anche tirarsi dietro l'uomo vestito di rosso. Nai nulla di semplice. La vove di quest'ultimo interruppe il corso dei suoi pensieri.
"Senti sceriffo, posso abbassare le braccia? Ho unacerta età..."
La guardia rinunciò alle comunicazioni e abbassare la canna dell'arma fece un cenno in direzione delle figura in rosso che prese a massggiarsi le braccia con sollievo.
Pensò che in fondo aveva uno strano senso dell'umorismo, oppure gli si era completamente spappolato il cervello, o entrambe le cose. Chissà dove aveva trovato il costume... non aveva senso.
Si accese l'ennesima sigaretta.
Attraverso le spirali di fumo guardò il "ladro" che gli stava davanti. In fondo non erano poi così diversi. Erano entrambi reietti, lui ai margini della notte l'altro ai margini della società, sospesi in un limbo senza giustizia, senza morale.
"Ora facciamo due passi fino all'auto, cammina davanti a me, non fiatare e muoviti lentamente".
Babbo Natale non si mosse. Non disse nulla. Si limitò a spazzolare attentamente la neve appiccicata ai calzoni durante la caduta.
"Hey rottinculo, mi hai sentito?"
Una porzione di viso apparve da sotto il cappello da Babbo Natale. Diede una rapida occhiata annoiata e continuò la sua operazione di pulizia.
"Ora ascltami bene grassone", i suoi occhi erano di nuovo divenuti due fessure, "tu adesso muovi quel tuo culo flaccido e alla svelta, o ti trascino a calci fino alla macchina e ti assicuro che è una bella cammin..."
La guardia si bloccò improvvisamente.
C'era qualcosa di sbagliato, profondamente sbagliato. Qualcosa che gli era sfuggito.
Notò solo in quel momento l'assenza di impronte nella neve sotto la finestra da cui era uscito Babbo Natale. Forse era entrato dal lato che non aveva ancora ispezionato. Ma non era quello...
Poi la consapevolezza lo colpì come un maglio.
Sentì i capelli sulla nuca drizzrsi, letteralmente.
Babbo Natale non aveva ombra.
Era sul limitare del cono di luce di un lampione, il sacco a terra disegnava la sua silouette informe... ma non c'era traccia di quella che avrebbe dovuto partire dagli stivali dell'uomo in rosso.
Sempre che di uomo si trattasse.
Qualcuno o qualcosa poteva essere in ascolto.

Saturday, August 12, 2006

Angeli caduti

La tengo fra le braccia.. quanto tempo è passato dall'ultia volta? Non mi ricordo, o forse non voglio ricordare, è trascorsa una vita.
Dice di chiamarsi Simona, non credo che sia il suo vero nome, ma non importa, il suo profumo è reale, il calore della sua pelle mi brucia il cuore, sento che mi stringe più forte.
Chiudo gli occhi, devo farlo.
Ha un sorriso che toglie il respiro, e quando mi guarda mi fa sentire bene, mi fa dimenticare tutto il marcio che c'è nella mia vita. Vorrei dirglielo ma non capirebbe, devo trovare delle parole semplici perchè non parla bene l'italiano. Ma le carezze non hanno bisogno di essere tradotte. Seguo la linea del suo viso, le passo una mano fra i capelli e non riesco a staccare gli occhi dai suoi. Lei sorride e dice "Tuoi occhi molto pericolosi!". Quando le chiedo perchè sorride di nuovo, ma non riesce a spiegarsi allora indica i miei occhi e poi il suo cuore.
Lei non vuole che la guardi in quel modo e allora abbasso lo sguardo. Lei mi solleva il mento e dice " Tu guardare me così ancora, per favore". E' una pugnalata, nessuna mi ha mai detto una cosa del genere.
"Tu molto dolce, non come altri". Non me ne frega niente se lo dice a tutti o se le è venuto così. Non mi importa, in quel momento momento è lì con me, per dieci minuti è la mia ragazza.
Si, per 10 minuti e 50 euro lei sta con me perchè Simona lavora in un locale di lap-dance. Per dieci minuti stacco la spina. Il mondo finsce dietro le tende del privè, tutto quello che c'è al di fuori cessa di esistere. E' tutta una finzione.
Io sono un cliente, lei vende la sua bellezza.
Il tempo è finito. Un ragazzo grasso con gli occhiali apre le tende che fino a poco fa racchiudevano un'intimità fasulla ma concreta.
Lei si scioglie dal mio abbraccio ma non stacca gli occhi dai miei.
Vorrei andare al banco per un'altra birra, a volte quella sete antica che mi ha perseguitato per troppo tempo torna subdola e affascinate.. non voglio tornare a bere.
Pago ed esco senza voltarmi. So che lei mi stà lanciando delle occhiate furtive mentre flirta con un altro cliente, me li sento sulla schiena.
Mentre salgo in auto accendo un'altra sigaretta e quando la porto alle labbra sento ancora il suo profumo sotto le dita.
Tanto meglio, ilviaggio verso casa è lungo. Mi terrà compagnia.







Thursday, August 03, 2006

Le parole che non ti ho detto

E' una lettera che non ho mai iviato, non ce n'è motivo.
Solo che le parole vengono fuori da sole, forse ho solo bisogno di dirle,o forse è solo il senso di colpa che mi uccide.
Non importa che ci sia qualcuno a leggerle.
Di sicuro lei non c'è.


Ciao Tina,
una volta mi hai chiesto di scriverti una lettera.. è stato molto tempo fa. Avrei dovuto scriverla allora, adesso è troppo tardi.
Il contenuto sarebbe stato certo diverso, noi due eravamo diversi.
E' strano come mentre ero con te, non sia stato in grado di trovare le parole per dirti ciò che provavo per te, quello che eri per me. Forse perchè non c'erano, non ci sono, non sono ancora state inventate.
Adesso che le nostre vite si sono separate, so esattamente cosa dire, sembrano poter finalmente dare una forma a quello che ho dentro, sembrano avere un senso.
Ma non è per questo che ti scrivo, non è l'ennesimo tentativo. So che sarebbe inutile, perchè tu sei diversa, l'ho capito nel momento in cui ti ho visto per la prima volta, l'ho sempre saputo.
Volevo dirti che mi dispiace averti fatto soffrire, non te lo meritavi. Mi dispiace di averti fatto piangere, di aver spezzato il tuo cuore. Vorrei poterti dare indietro il tuo tempo.. vorrei che fosse andata diversamente.
Mi sono reso conto di non averti mai veramente ringraziata, per tutto quello che sei stata per me.
Grazie per i tuoi sorrisi, per la pazienza che hai avuto con me, per essere sempre stata dalla mia parte, per esserci sempre stata. Anche quando ho scelto questo lavoro, sapevi che sarebbe stato un sacrificio, sopratutto per te, ma sei rimasta lo stesso al mio fianco.
Grazie per tutte le volte che ti sei addormentata con me, per la tua dolcezza, per quel tuo modo di essere bambina che mi faceva impazzire. Ma anche se dicevi di essere piccola sei sempre stata grande più di me.
Grazie per esserti preso cura di me, perchè anch'io in fondo ero ancora un bambino. Grazie perchè hai saputo fare di me una persona migliore, perchè ero felice con te. Non sentivo più quel peso sullo stomaco, quella sensazione di vuoto del cuore. Grazie per tutto quello che ci siamo detti, a volte solo con gli occhi, solo tenendoci per mano, solo con il respiro.
L'elenco sarebbe infinito.. ma non ce la faccio a continuare.
Credo che tu sia l'unica donna che mi abbia amato per quello che ero.
Luca saprà essere quello che io non sono stato per te, è una persona in gamba, saprà essere un buon compagno, un buon marito, un buon padre. Ti saprà offrire una vita migliore di ciò che potevo offrirti io. Non dormirai sola mai più.
Perdonami, è ora che vada.
Il mio tempo con te è scaduto.
Arrivederci piccola, stare con te è stata la parte migliore della mia vita.
Grazie.

Saturday, July 08, 2006

Quella volta che uccisi Babbo Natale ( seconda parte )

Un fiocco di neve si infilò nel colletto della giacca riportandolo bruscamente alla realtà.
Qualcosa bruciava agli angoli degli occhi.
La sua mano infilata nel guanto strinse la maniglia della porta degli uffici sul lato dell'edificio che stava controllando. Un controllo normale. La maggior parte degli allarmi era provocato da stronzate simili, finestre o porte non chiuse a chiave, dimenticanze banali.
La scrollò. Chiusa.
Indugiò sulla soglia, mano ancora agganciata alla maniglia. Incontrò la sua immagine riflessa sulla superfice a vetri della porta. Gli rispose il fantasma di se stesso, avvolto dai vapori del suo respiro.
Spalle cadenti, barba di due-tre giorni, viso dal colorito giallognolo, sigaretta in bilico in un angolo della bocca, divisa sformata, occhi cerchiati, spenti..
Ebbe un gesto di repulsione. Ritirò il braccio di scatto, come se fosse stato attraversato dalla corrente, come se avesse toccato qualcosa di infetto.
Non era quello che si era immaginato quando era piccolo, non era come si era immaginato mentre stava seduto sui banchi di scuola.
Era tutto così senplice allora.
Voleva diventare un eroe, voleva fare qualcosa di grande. Era destinato a compiere un'impresa. Avrebbe lasciato un segno del suo passaggio, non sarebbe svanito nel nulla.
Ma stava già scomparendo, quello che era stato nel suo cuore era solo un'ombra diafana, indistinta.
Sete..
Aveva ricominciato a bere.
Stava infilando la testa nel letamaio dell'alcolismo, consapevolmente, freddamente. Non gliene fregava più un cazzo di niente. Almeno finchè durava la sbronza non sentiva gli scricchiolii dell'anima, non doveva raccogliere i pezzi , rimmetterli insieme. Non aveva nessuno per cui vivere, qualcosa per trascinarsi fino a sera. Provava pena per se stesso. Non voleva sentire nessuna di queste voci, le affogava nell'alcol, dosi massicce. Certe sere sembrava che non bastasse mai, l'eco della sua condizione galleggiava sopra la birra e il Jack Daniel's. Relitti che rimangono comunque a galla dopo un naufragio.
C'era stato l'incidente, qualcosa che avrebbe potuto risolvere tutto questo, ma quella volta l'alcol non centrava niente.
Si era addormentato al volante tornando a casa dal lavoro. Era successo in piena curva, aveva centrato un palo telefonico tranciandolo di netto, l'auto si era girata ed era uscita di strada. L'urto aveva sbalzato il suo corpo inerte verso l'alto. Se l'era cavata con sei punti sulla testa, urtando contro il montante della portiera e crollando privo di sensi sul sedile del passeggero. Non ricordava nulla del trasporto in ospedale e della settimana successiva aveva solo qualche fotogramma sfuocato. Niente ossa rotte, nessun organo lesionato. La tac non aveva rivelato ematomi nella zona suturata. Qualcuno che aveva visto quello che restava dell'auto e si domandava come potessi essere ancora vivo.
Si ritrovò a desiserare un finale diverso, non avrebbe dovuto uscire vivo da un botto del genere.. qualcuno lo avrebbe pianto ma poi sarebbe stato inghiottito con tutti gli altri nella geenna buia dei dimenticati.
Si costrinse a reagire, a non pensare. Erano pensieri e desideri pericolosi da fare in una notte simile. Potevano spingerlo verso il punto di non ritorno, verso il pozzo oscuro della pazzia. Il budello viscido della demenza.
Qualcuno o qualcosa poteva essere in ascolto.
( continua )

Thursday, June 29, 2006

Quella volta che uccisi Babbo Natale ( prima parte )

"Lavoro di merda.."
Le parole uscirono masticate dalle sue labbra.
Si confusero con lo sferragliare del mazzo di chiavi, mentre tentava di aprire la serratura del cancello bloccata dal ghiaccio.
Stava vomitando il suo repertorio di oscenità, tra l'altro non così vasto dato che aveva già ripetuto "baldracca schifosa" per le terza volta.
La guardia sapeva per esperienza che la fase del turpiloquio era una questione delicata. La scelta degli insulti faceva la differenza, intimoriva i meccanismi di chiusura e li induceva a sbloccarsi docilmente.
Finalmente udì lo scatto di apertura.
Sorrise, o meglio ghignò soddisfatto. Spinse il cancello disegnado uno spicchio nello spesso strato di neve che flagellava il paesaggio da troppe ore.
Era cominciata come una spruzzatina timida di bianco, in sordina. Adesso si era trasformata in uno spesso tendaggio che attutiva i rumori e spegneva il sottofondo incessante del traffico che giungeva dall' autostrada. In realtà quella notte non ce n'era poi molto.
Dopotutto era la notte di Natale.
La gente era uscita dalle chiese da un pezzo. Aveva visto le persone scambiarsi gli auguri sui sagrati, stette di mano vigorose accompagnate da ampi sorrisi. Coppiette che si stringevano per cercare riparo dal freddo. Ragazzini eccitati che tiravano i rispettivi genitori per le maniche, implorandoli di tornare a casa, impazienti di scartare i pacchi sotto l'albero. Gli sambrava di scorgere un luccichio nei loro sguardi..
La guardia aveva osservato tutto ciò con distacco, attraverso la fessura che erano diventati i suoi occhi. Una fessura che era un filtro, una barricata. Come se, socchiudendo le palpebre, avesse potuto lasciare passare solo le immagini, arginando il loro contenuto, trascurando il significato dei gesti.
Imperativo lasciare fuori le sensazioni.
Non poteva contaminare il suo cinismo. Era la linfa di cui si nutriva, il motore che lo teneva in vita, la garanzia che gli permetteva di tornare a casa tutte le mattine.
Ma non era stato sempre così.
Qualcosa trovava sempre il modo di infrangere la sua corazza, di infilarsi tra le pieghe della memoria, di approfittare di un momento di distrazione e sorprenderlo con il fianco scoperto.
Allora i ricordi lo travolgevano in un'ondata rabbiosa, senza pietà.
Allora lo spettro di ciò che era faceva la sua comparsa, improvvisa, trascinandolo indietro, sempre più in profondità.
Lo riportava sempre nello stesso luogo.
Lo accompagnava per mano da lei.
Sempre.
Sentiva ancora il suo profuno, il suo calore, il modo in cui piegava la testa per guardarlo. Percepiva il suo amore come qualcosa di tangibile, riusciva quasi a dargli una forma. Lo sentiva confuso nei cinque sensi, eppure così chiaro ed evidente. Lo leggeva nei suoi occhi, nei quali veniva trascinato senza opporre resistenza. Era stato un uomo diverso, forse migliore. Poteva tenere gli occhi spalancati e assorbire l'essenza delle cose. Forse, in fondo, era stato anche un uomo buono.
Poi tutto era andato a puttane.
L'aveva lasciata.
Vedeva l'intera sequenza in fotogrammi.
Aveva visto qualcosa spezzarsi dentro dei lei.
Aveva visto i suoi occhi frantumarsi.
Aveva sentito la sua anima gridare.
Aveva sentito il suo dolore mentre la vedeva scappare per le scale e salire in auto. Forse lei aveva gettato un'ultima occhiata prima di allontanarsi. Non ne era sicuro.
Anche il suo cuore si era spezzato, non era stata affatto una decisione facile. Sentiva di amarla ancora, ma non abbastanza.
Non completamente.
Non come lei lo aveva amato.
Aveva pregato Dio come non l'aveva mai fatto. Aveva bisogno de Suo aiuto. Qual'era la cosa giusta da fare?
Ma forse Dio era girato dall'altra parte. Non aveva sentito.
Non aveva ascoltato..


( continua )