La Guardia

Thursday, June 29, 2006

Quella volta che uccisi Babbo Natale ( prima parte )

"Lavoro di merda.."
Le parole uscirono masticate dalle sue labbra.
Si confusero con lo sferragliare del mazzo di chiavi, mentre tentava di aprire la serratura del cancello bloccata dal ghiaccio.
Stava vomitando il suo repertorio di oscenità, tra l'altro non così vasto dato che aveva già ripetuto "baldracca schifosa" per le terza volta.
La guardia sapeva per esperienza che la fase del turpiloquio era una questione delicata. La scelta degli insulti faceva la differenza, intimoriva i meccanismi di chiusura e li induceva a sbloccarsi docilmente.
Finalmente udì lo scatto di apertura.
Sorrise, o meglio ghignò soddisfatto. Spinse il cancello disegnado uno spicchio nello spesso strato di neve che flagellava il paesaggio da troppe ore.
Era cominciata come una spruzzatina timida di bianco, in sordina. Adesso si era trasformata in uno spesso tendaggio che attutiva i rumori e spegneva il sottofondo incessante del traffico che giungeva dall' autostrada. In realtà quella notte non ce n'era poi molto.
Dopotutto era la notte di Natale.
La gente era uscita dalle chiese da un pezzo. Aveva visto le persone scambiarsi gli auguri sui sagrati, stette di mano vigorose accompagnate da ampi sorrisi. Coppiette che si stringevano per cercare riparo dal freddo. Ragazzini eccitati che tiravano i rispettivi genitori per le maniche, implorandoli di tornare a casa, impazienti di scartare i pacchi sotto l'albero. Gli sambrava di scorgere un luccichio nei loro sguardi..
La guardia aveva osservato tutto ciò con distacco, attraverso la fessura che erano diventati i suoi occhi. Una fessura che era un filtro, una barricata. Come se, socchiudendo le palpebre, avesse potuto lasciare passare solo le immagini, arginando il loro contenuto, trascurando il significato dei gesti.
Imperativo lasciare fuori le sensazioni.
Non poteva contaminare il suo cinismo. Era la linfa di cui si nutriva, il motore che lo teneva in vita, la garanzia che gli permetteva di tornare a casa tutte le mattine.
Ma non era stato sempre così.
Qualcosa trovava sempre il modo di infrangere la sua corazza, di infilarsi tra le pieghe della memoria, di approfittare di un momento di distrazione e sorprenderlo con il fianco scoperto.
Allora i ricordi lo travolgevano in un'ondata rabbiosa, senza pietà.
Allora lo spettro di ciò che era faceva la sua comparsa, improvvisa, trascinandolo indietro, sempre più in profondità.
Lo riportava sempre nello stesso luogo.
Lo accompagnava per mano da lei.
Sempre.
Sentiva ancora il suo profuno, il suo calore, il modo in cui piegava la testa per guardarlo. Percepiva il suo amore come qualcosa di tangibile, riusciva quasi a dargli una forma. Lo sentiva confuso nei cinque sensi, eppure così chiaro ed evidente. Lo leggeva nei suoi occhi, nei quali veniva trascinato senza opporre resistenza. Era stato un uomo diverso, forse migliore. Poteva tenere gli occhi spalancati e assorbire l'essenza delle cose. Forse, in fondo, era stato anche un uomo buono.
Poi tutto era andato a puttane.
L'aveva lasciata.
Vedeva l'intera sequenza in fotogrammi.
Aveva visto qualcosa spezzarsi dentro dei lei.
Aveva visto i suoi occhi frantumarsi.
Aveva sentito la sua anima gridare.
Aveva sentito il suo dolore mentre la vedeva scappare per le scale e salire in auto. Forse lei aveva gettato un'ultima occhiata prima di allontanarsi. Non ne era sicuro.
Anche il suo cuore si era spezzato, non era stata affatto una decisione facile. Sentiva di amarla ancora, ma non abbastanza.
Non completamente.
Non come lei lo aveva amato.
Aveva pregato Dio come non l'aveva mai fatto. Aveva bisogno de Suo aiuto. Qual'era la cosa giusta da fare?
Ma forse Dio era girato dall'altra parte. Non aveva sentito.
Non aveva ascoltato..


( continua )

Friday, June 16, 2006

Sottovoce

I ricordi sanno essere davvero dei figli di puttana. Non ti avvertono, non fanno rumore. Sono allenati a prenderti alle spalle. Si confondono tra mille altri, spariscono dalla vista per un pò; quando si affacciano alla memoria non li riconosci subito. Apri al loro bussare e ti piantano un cazzotto alla bocca dello stomaco, non fanno sconti. Si infilano tra le pieghe del tempo, si appiattiscono alle mura dell'ingenuità e striscano fino alla nostra gola serrandola, certe volte pare di soffocare. Sono i demoni dell'inferno, godono a tormentare i dannati.
Non chiedono scusa.
Non dormono.
Non hanno pietà.
Lasciano solo cadaveri orrendamente straziati al loro passaggio e il tanfo di morte che avverte della loro presenza quando ormai è già troppo tardi. Appestano gli anfratti del cuore dove teniamo le sensazioni ancora scevre del loro putridume. Ma i miasni del loro respiro giungono anche sin qui, le ombre macabre dei loro profili si disegnano sulla retina.
Ghignano, vomitando risate oscene.
Picchiano senza posa, non si stancano mai. Mai.
E' come la stanza delle torture. L'inquisitore recita i capi d'accusa mentre il carnefice con il cappuccio si prodiga a infliggere dolore.
Ma non le sentite le urla?
Sono grida che fanno accapponare la pelle.
Sono sordi.
Macchine perfette a moto perpetuo.
Perchè non possiamo scegliere cosa ricordare e cosa lasciare agli avvoltoi dell'oblio?
Il peso è enorme, il prezzo troppo alto da pagare
Ho la vista appannata, forse stò perdendo conoscenza.
L'incoscenza finalmente mi dà un pò di tregua, è come una carezza di un'amante. Guida la mia testa sulla sua pelle, sento il suo calore.
Posso chiudere gli occhi.
Ora sono al sicuro.

Legione

Tuesday, June 13, 2006

Hai sentito anche tu?

Solo.
A farmi compagnia c'è il suono cupo e regolare del motore diesel, interrotto dal gracchiare della radio alle chiamate dei colleghi. Perlopiù cazzate, ma si sa, quando il "silenzio" è così ruvido a volte il suono della voce, della propria voce, è una cosa che ci dfa sentire meno soli.
A volte esce inconsapevole, a una domanda che nasce solo nel cervello e ci fa sobbalzare, come se a parlare fosse stato qualcun'altro. Serve a convincerci che la scelta che abbiamo fatto, che tutti fanno, è quella giusta? E' stata quella giusta?
Oppure è il testo di una canzone sussurrato fra le labbra, in sordina.. alcune canzoni è meglio lasciarle perdere, troppi ricordi.
O è il "vaffanculo" gridato rabbioso, al deficente che svolta senza freccia.
I suoni, i rumori nella notte non sono mai gli stessi, ma col tempo ci si fà l'orecchio. Di giorno non si sentono perchè sono coperti dal rumore di sottofondo di miliardi di operazioni, ma quando tutti dormono, emergono lentamente, come la foschia che si alza dai fossi. Discreta, muta.
Anche gli odori sembrano più intensi, i profumi del glicine e del tiglio sono quasi invadenti, penetrano nelle case e sovrastano anche l'odore della sigaretta che mi penzola dalle labbra.
D'estate o con l'approssimarsi ad essa sembra che tutto si muova, producendo quella serie di fruscii sinistri che fanno impazzire Dario Argento e Wes Craven. Quelli che preludono l'orrore: il cigolio di un'asse, lo sbattere di ali di una civetta fra una siepe, i colpi che si sentono nei conteiner, mentre il metallo si raffredda, lo scricciolio di un tutore legato a una betulla.. e poi ci sono vibrazioni dell'aria che non hanno una spiegazione. Ma di notte non si cercano risposte, si prende atto del dato di fatto e basta. Meglio non farsi domande.. la notte è ancora lunga.
Ma è l'assenza di suono, o la sua quasi totale mancanza, la cosa più stupefacente. Succede quando nevica.
I fiocchi cadendo danno origine a una sorta di tenda spessa, come quella che c'era una volta nelle sale dei cinema, che ferma tutto il rumore, lo attenua fino a farlo scomparire. Quando capita rimango immobile all'aperto, osservando il fiato che si condensa e i cristalli di neve cadermi sul cappello e le spalle. E' incredibile.. c'è un silenzio irreale, posso quasi sentire la neve cadere, il suono del mio respiro e se presto attenzione forse anche il battito del mio cuore, o forse è il respiro della terra stessa. Vorrei rimanere, ma devo proseguire il giro, sono pagato per controllare che tutto sia in ordine.
Così mi allontano, fra lo scricchiolare del ghiaccio sotto gli stivali.

Legione

Monday, June 12, 2006

Gente di notte

La guardia non ha un volto.
E' un involucro vuoto, senza emozioni,
accentra su di se le peggiori inclinazioni umane.
E' sede di vizi e debolezze, dedita all'alcol e alle puttane.
Non ha un'anima.
E' solo un numero su un documento.
La sua condizione prima o poi lo rende omicida.
Il primo omocidio di ogni guardia è il proprio.

I quotidiani ci vanno giù di brutto. Ogni volta che leggo un titolo del genere "Guardia giurata uccide la moglie" oppure "Ex guardia giurata spara al figlio" mi incazzo. Viene da pensare che il fatto stesso di essere o essere stato una guardia giurata implichi il fatto che prima o poi doveva succedere. Prima o poi doveva sbroccare.. tutti i media rincarano la dose se poi a fare il furto o "l'azione delittuosa" e sempre la categoria delle guardie. Pare che non si salvi nessuno.
Io faccio parte di quella categoria, bistrattata, sempre al centro di polemiche, con compiti che non sono chiari alla maggior parte delle persone, perchè di noi a nessuno frega niente. Non contiamo un cazzo, ci potete sputare addosso e insultare, non siamo pubblici ufficiali. La divisa è un limite solo per noi, non ci permette di difenderci, dà la possibilità agli altri di prederci per il culo. Possiamo solo scappare se c'è la possibilità di essere in pericolo. Mettere mano all'arma è già un reato. Posssiamo solo rispondere al fuoco, il che vuol dire che prima ci devono sparare addosso, poi, se ancora siamo in vita..
E' un lavoro per disperati. Siamo da soli per tutta la notte, in auto. Non importa se piove, nevica, se la nebbia non ti fa vedere al di la del cofano, se fa freddo che le dita perdono sensibilità, se le strade sono ghiacciate e l'auto fatica a rimanere in strada.
Non importa chi incontri al buio, chi ti attende nel buio. Non parlo di un ladro dietro un angolo già con il piede di porco in mano, pronto a calartelo sulla testa. Parlo dei ricordi che si nascondono in un'ombra gettata da un'albero, dai visi che riappaiono quando una nuvola oscura la luna, dei fantasmi che popolano la nostra testa, dei rancori e dei rimpianti, degli amori e di tutta quella parte di vita che di notte non si vede e che appare ancor mano evidente alla luce del sole.

Legione